Le Osterie di Venezia

La storia

malvasia

Le Osterie di Venezia

Il vino a Venezia era venduto e consumato in molti esercizi, suddivisi in diverse categorie, a seconda della qualità e della provenienza della bevanda offerta e della possibilità di accompagnarla con il cibo.

  • La Malvasiaera una bottega dove “vendevansi vini navigati (cioè importati via mare) e specialmente quello proveniente da Malvasia” (Monemvasia, città del sud della Grecia), da Cipro e dalla Puglia.

Racconta Tassini che la malvasia di divideva in dolce, tonda e garba.

La prima, poco gradita al palato veneziano, era destinata soprattutto ai foresti. La varietà 'tonda' era considerata poco gustosa, mentre la 'garba' era la preferita dalla popolazione e considerata un toccasana per ogni malattia del corpo, ma soprattutto dello spirito: un vero e proprio ‘remedio’.

Infatti nelle vicinanze di Campo Santa Maria Formosa, la ‘Calle del Remedio’ prendeva il nome dalla vicina Malvasia, molto frequentata dai giovani patrizi veneziani, che sceglievano questo locale per il rito di passaggio alla vita politica e sociale attiva.

I gestori delle Malvasie non potevano vendere vini nostrani, far da mangiare, mettere le carte da gioco a disposizione degli avventori.

Appartenevano ad un'arte separata da quella dei venditori d'altri vini, e si ritrovavano nella chiesa di S. Nicolò dei Frari (S. Nicolò della Lattuga) presso l'altare della Natività di San Giovanni Battista.

  • La Furatola era un tipo di locale molto più umile. Botteghe piccolissime in cui si vendevano pesce fritto ed altri ‘cicchetti’ ad uso della poveraglia.

Sull’origine del nome sono state avanzate varie ipotesi: da foro, per le ridotte dimensioni; oppure dal barbarico furabola (equivalente di tenebre), per la scarsa illuminazione e le mura annerite dal fumo; oppure dal latino furari (rubare) per la facilità con cui se ne poteva uscire depredati.

Il vino, pessimo, era venduto solo sottobanco perché nelle furatole non era ufficialmente consentito.

  • Il Magazen era la bottega dove si vendeva vino al minuto, e dove si portavano oggetti da impegnare, ricavandone parte in denaro e parte in vino di bassa qualità (vin da pegni).

I Magazèni, ottennero sin dal 1355 tramite Decreto del Consiglio dei Dieci, la fondazione in Scuola dei venditori di vini.

Questi locali, si dividevano in Bastioni Samarchi o Samarcheti.
Nei Bastioni non si serviva cibo e perciò generalmente erano situati nelle vicinanze di un luganegher.
I Samarchi o Samarcheti erano così chiamati perché contrassegnati dallo stemma della Repubblica. 

Si trattava di spacci subalterni dipendenti dal più vicino bastion, vere e proprie succursali sottostanti alle stesse disposizioni.

I mercanti di vino si erano costituiti in confraternita nel 1505 ad essi si erano uniti nel 1609 i venditori, i portatori e i travasadori.

Due piccoli bassorilievi, nei pressi di Rialto, raffigurano San Adriano e Gerolamo, protettori della scuola, che aveva un altare nella vicina chiesa di San Silvestro.

Dall’Ottocento il tipo di locale che si è imposto come dominante è il bàcaro, il cui nome sembra derivare da un vino delle Puglie. Secondo una voce popolare, fu battezzato così da un gondoliere che, assaggiando il vino disse “Bon! Bon! Questo xe proprio un vin... de bàcaro!”, forse a significare un vino adatto a una ‘bacara’ che in veneziano vuol dire “allegra e rumorosa brigata”.

Da allora le osterie furono chiamate ‘bàcari’.

Fonti: E. Zorzi 'Osterie veneziane'

         G. Tassini 'Curiosità veneziane'

        'Il vino nella storia di Venezia' a cura di C. Favaro

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