Il Palazzo Ducale a Venezia | Cosa Vedere e Non Perdere
La Guida al Palazzo Ducale di Venezia
Il Palazzo Ducale è, insieme con la Basilica di San Marco, il luogo centrale di Venezia, della sua storia e – nel passato – del suo stato. È un edificio strano e pieno di contraddizioni, al contempo noto e ignoto a tutti. L’avete mai osservato con attenzione? All’esterno, ogni forma, pietra, colore, traforatura, capitello ha qualcosa da raccontare, se si pongono le domande giuste. All’interno, si rischia di venire sopraffatti se lo si visita senza una minima preparazione o senza una guida, tanto è ricco di decorazioni in oro, statue, dipinti e di ambienti enormi. Ma proviamo a esplorarlo un poco.
Il Palazzo Ducale: cosa vedere e cosa non perdere
- Un po’ di storia
- L’esterno; una panoramica
- Il cortile interno
- Il museo dell’opera
- La Scala dei giganti
- Primo piano, loggia. Le bocche di leone
- La Scala d’oro
- La Sala delle quattro porte
- Sala dell’Anticollegio
- Sala del Collegio
- Sala del Senato
- Sala dell’udienza del Consiglio dei Dieci
- Sala della bussola e armeria
- Liagò e Sala del Guariento
- Sala del Maggior Consiglio - Prima Parte
- La Sala del Maggior Consiglio - Seconda Parte; Le pareti e il soffitto
- La Sala del Maggior Consiglio - Terza parte; I ritratti dei dogi
- La Sala dello Scrutinio
- Ponte dei Sospiri e Palazzo delle prigioni nuove
Un po’ di storia (poca, promesso)
Ricostruzione del primo edificio che diventerà Palazzo Ducale
Se la tradizione vuole che Venezia sia stata fondata il 25 marzo 421, la sede centrale del suo governo viene spostata nell’attuale città lagunare solo nel IX secolo. Inizialmente è collocata nei pressi di Eraclea, quindi a Malamocco, ma occorre cercare un luogo più sicuro e lo si trova nelle inospitali isole realtine, proprio là dove l’argine (rivus) è un po’ più alto: quel rivus altus diventerà nei secoli Rialto.
Inizialmente, il palazzo è un castelletto fortificato dotato di piccole torri. Nel XII secolo si decide di adattarlo alle raffinatezze dello stile bizantino, confacente a uno stato sempre più potente e degno di ospitare importanti personalità internazionali come Federico Barbarossa e Papa Alessandro III nel 1177. Per il Palazzo Ducale che conosciamo oggi, occorre aspettare sino alla prima metà del Trecento, quando – dopo aver sancito la costituzione dell’aristocrazia veneziana con la Serrata del Maggior Consiglio – si ha la necessità di un’ampia sala per votazioni e assemblee.
Inizialmente il palazzo è costituito solo dalla parte meridionale, quella che guarda il molo, completata intorno al 1360. Dal 1424 si avviano i lavori per edificare l’ala occidentale, quella che guarda la Piazzetta San Marco, e si decide di farla tale e quale alla prima, con lo stesso disegno e la stessa decorazione a incrostazioni marmoree colorate.
L’esterno; una panoramica
La facciata sud del Palazzo Ducale
La mole di Palazzo Ducale – imponente e delicata allo stesso tempo – è fatta di pietre e luce. Non c’è bisogno di mura spesse e fortificazioni militari: le acque basse e chiuse della laguna costituiscono una protezione più che sufficiente. Contrariamente a ogni logica, il pieno sta sopra al vuoto. Trentasei colonne al piano terreno reggono quelle - all'incirca settanta - della loggia del primo piano, su cui poggiano due grossi parallelepipedi color salmone.
Ma andiamo con ordine.
Palazzo Ducale viene eretto quale simbolo di una comunità che nasce peculiare, in un territorio affatto privo di risorse naturali e materie prime, perlopiù inadatto all’agricoltura. Costruire un’intera civiltà su un acquitrino è un motivo di forte aggregazione identitaria e il palazzo cittadino deve farsi portavoce anche di questo.
Se “leggiamo” le sue pietre, infatti, troviamo una visione enciclopedica del creato, una storia dell’universo scolpita tra angolari e capitelli. Giusto un paio di esempi: l’angolo sud-ovest reca un angolare che raffigura il Peccato originale; quello sud-est l’Ebbrezza di Noè, ossia l’inizio del mondo e il secondo inizio dopo il Diluvio Universale.
Nel mezzo: alcuni degli esempi più interessanti di scultura trecentesca, in cui squadre di anonimi lapicidi hanno realizzato scene di inedita vitalità, per l’arte del tempo. Osservarli e studiarli oggi significa immergersi nella cultura trecentesca, capirne i valori e le conoscenze, afferrarne per un attimo il sapere.
Il cortile interno
Fotografia del cortile di Palazzo Ducale nell'Ottocento (Carlo Naya)
A Palazzo Ducale si entra dal lato meridionale attraverso la Porta del Frumento.
- Oltrepassata la biglietteria, ci si trova nell’ampio cortile che ci mette di fronte alle diverse fasi dell’edificazione del Palazzo Ducale. Lasciandoci alle spalle la bussola d’entrata – e con essa la parte trecentesca del palazzo – alla nostra sinistra vediamo la sua prosecuzione quattrocentesca, identica in tutto alla precedente.
- Di fronte, il complicato àndito Foscari sormontato da un complesso timpano seicentesco dotato di orologio e una parete adorna di statue.
- A destra, l’ultima parte del Palazzo a essere uniformata tra Quattro e Cinquecento, principalmente a opera di Antonio Rizzo e Pietro Lombardo. La decorazione a festoni, grottesche, girali e armi, il ricorso agli ordini classici e all’arco a tutto sesto per le finestre sono segnali del gusto tardo-rinascimentale e si innestano senza troppe frizioni sul loggiato gotico caratterizzato da archi a sesto acuto.
- Al centro, due sontuose vere da pozzo in bronzo, fuse nella seconda metà del Cinquecento; la corte di Palazzo Ducale era aperta e accessibile alla popolazione, che poteva servirsi liberamente dei due ampi pozzi pubblici.
Il museo dell’opera, temporaneamente (se spera) chiuso
Ingiustamente snobbato, il museo dell’opera di Palazzo ducale è un luogo suggestivo che ci può dire molto sulla fabbrica del palazzo.
Non pensate a Rigoletto o a Carmen: si tratta di pietre, quelle pietre eloquenti che nel Museo dell’opera si possono osservare da vicino e consultare in tutta calma per farci raccontare le origini di Palazzo Ducale.
In ambienti un tempo adibiti a prigioni, sono collocati gli esemplari originali di colonne e capitelli provenienti dall’esterno e sostituiti nel radicale restauro iniziato nel 1875.
Qui possiamo apprezzare la mano leggera e vivace degli anonimi scultori veneti, toscani e lombardi che nel Trecento hanno dato vita a questo straordinario ciclo scultoreo. In una delle sale è collocato il pezzo che vedete in foto: uno degli all'incirca 70 trafori della loggia esterna al primo piano. Vederlo da vicino e toccarlo dà l’idea di quanto Palazzo Ducale sia al contempo poderoso e leggero.
La Scala dei giganti
Attraversato il cortile, si accede all’àndito Foscari e, a destra, colpisce la presenza monumentale e scenografica della Scala dei giganti, che dall’ingresso odierno (la Porta del frumento) si vede di profilo.
La Scala dei giganti è il punto d’arrivo dell’antico ingresso d’onore a Palazzo Ducale, attraverso la Porta della carta, oggi l’uscita del percorso museale. Entrando dalla Porta della carta, il visitatore percorreva l’andito Foscari e si trovava di fronte alla Scala dei giganti; bisogna riconoscere che l’effetto nel vederla di fronte è ben diverso rispetto che vederla di profilo. La scala quattrocentesca reca una fitta decorazione a piombo, diversa su ogni gradino, e termina nella loggia al primo piano.
Sul pianerottolo avveniva la simbolica incoronazione del doge, simbolicamente sotto al leone di San Marco.
Le due imponenti statue, realizzate dalla bottega del Sansovino nel 1567, rappresentano Nettuno e Marte, simboli – tra le altre cose – della potenza per terra e per mare della Serenissima, che da metà Quattrocento aveva iniziato la sua espansione territoriale e decretato il lento e inesorabile declino del suo impero marittimo.
Per ragioni di conservazione, la Scala dei giganti non è aperta al pubblico, quindi si sale al primo piano dalla più modesta Scala dei censori, dove si incontrano anche le ultime toilette prima dell’inizio della visita.
Primo piano, loggia. Le bocche di leone
L’accesso agli ambienti interni di Palazzo Ducale inizia nella parte cinquecentesca attraverso la Scala dei Censori. È bene ricordare che il palazzo che vediamo oggi è “congelato” all’ultimo terzo del Cinquecento, quando la quasi totalità degli ambienti interni viene ricostruita in seguito ad alcuni incendi che li avevano devastati, soprattutto nel 1574 e nel 1577. Le opere dei maestri del primo Rinascimento veneto che li decoravano – dei Bellini, Carpaccio, Tiziano e molti altri – sono irrimediabilmente perdute.
Sulla parete della loggia si vedono alcune fessure, una delle quali contornata da un viso grottesco. Sono le cosiddette bocche di leone e servivano a… beh, venite a scoprirlo!
La Scala d’oro
Accesso agli appartamenti dogali e alle sale istituzionali, la Scala d’oro è l’ideale prosecuzione della Scala dei giganti; le due piccole statue ai suoi lati che accolgono i visitatori confermano questa impressione e potenziano i simboli espressi dai due giganti alle nostre spalle. Alzando il naso all’insù, ci rendiamo presto conto del motivo di un nome apparentemente pretenzioso; l’oro c’è davvero e impreziosisce la decorazione sovrabbondante della volta. Anche queste decorazioni, apparentemente leziose e dettate da horror vacui, hanno un significato propagandistico e politico che saremo felici di raccontarvi.
La Sala delle quattro porte
Salite le tre rampe della Scala d’oro, si arriva a un piccolo atrio quadrato, dove ci accoglie la prima tela soffittale di Tintoretto. Dall’atrio quadrato si accede alla Sala delle quattro porte, che non è una vera e propria sala, quanto più un ambiente di raccordo che dà in quattro diversi ambienti istituzionali. Il soffitto, ornato di rilievi a stucco, contiene dei tondi a fresco che raffigurano alcune delle città soggette al dominio della Serenissima: Vicenza, Verona, Treviso, Brescia e altre.
Su ciascuna delle quattro porte – forse progettate da Palladio – è collocato un gruppo scultoreo raffigurante tre allegorie che riguardano quanto si svolgeva al di là delle porte stesse. La raffinata cultura del Cinquecento veneziano ha in Palazzo Ducale alcune delle sue manifestazioni più sofisticate.
Sala dell’Anticollegio
Jacopo Tintoretto, Minerva allontana Marte e protegge Pace e Abbondanza
Da non perdere: Tintoretto, quattro allegorie dello stato veneziano, Veronese, Ratto d’Europa
Anche in questo caso, la parola “sala” è impropria: si tratta di una piccola anticamera; un ambiente in cui prepararsi alla prima, splendida sala istituzionale che, appunto, sarà la Sala del Collegio. In questa piccola sala d’aspetto, i visitatori – principalmente ambasciatori incaricati di conferire con il governo veneziano – potevano osservare alcuni capolavori della pittura del tardo Cinquecento e trarne moniti messaggi circa la natura della Serenissima e i valori in cui si riconosceva.
Ci si riferisce in particolare alle quattro piccole (se paragonate alla media di Palazzo Ducale) tele ai lati delle porte, quattro allegorie di Jacopo Tintoretto su motivi e valori cari alla Repubblica espressi attraverso scene tratte dalla mitologia greco-romana filtrata dalla filosofia rinascimentale. Apprendiamo da questi dipinti l’immagine che Venezia voleva dare di sé al mondo. Questi sono collegati con la decorazione incontrata lungo il nostro percorso e sviluppano i medesimi temi, li confermano, li potenziano e li ampliano: giustizia, operosità, simbiosi con il mare, diplomazia.
Decifrando alcune di queste sofisticate allegorie, siamo pronti a comprendere l’ambiente successivo, forse la sala più preziosa di Palazzo Ducale: la Sala del Collegio.
Sala del Collegio
Particolare del Soffitto della sala del Collegio
Se siete arrivati sin qui con una guida, avrete ben compreso il ruolo centrale della diplomazia nel governo della Serenissima, che ha in questo ambiente la propria “stanza dei bottoni”. Qui infatti siede il Collegio, consesso presieduto dal doge e composto dai suoi sei consiglieri e da altre alte cariche dello stato, incaricate di discutere le questioni più delicate di politica estera, e di farlo vis-à-vis con le personalità giunte dall’estero.
Nella Sala del Collegio lo sguardo è catturato magneticamente dal soffitto, non il più grande, ma trai i più sontuosi – e di certo il più prezioso – di tutto il Palazzo Ducale: si tratta infatti dell’unico soffitto la cui decorazione pittorica è affidata alla stessa mano: quella felicissima di Paolo Veronese. Leggerlo significa ripercorrere il complesso sistema di valori in cui lo stato veneziano si riconosce, realizzato con il fasto e la raffinatezza del più aristocratico tra i pittori veneti del Cinquecento maturo. L’azzurro che sfonda verso un cielo immaginario sempre sereno – anzi: serenissimo – fa da sfondo a figure aggraziate e abbigliate delle stoffe più ricche, di cui Venezia era capitale.
Le tre tele centrali ritornano su simbologie già incontrate nel nostro percorso, portandole oltre; le otto tele colorate – alternate a sei in chiaro-scuro – nelle improbabili forme di L o di T sono tra i più arguti cicli di allegorie di virtù che la pittura italiana possa vantare. Occorre prendersi del tempo, sedersi sulla panca di legno sul lato sinistro e iniziare a decifrare almeno le principali tra queste figure: rivelano un intero universo di significati.
Paolo Veronese, Allegoria della modestia
Sala del Senato
Da non perdere: il ritratto devozionale di Marcantonio Trevisan e Pietro Lando
Il Collegio, tuttavia, è un consesso troppo ristretto ed elitario per prendere decisioni. Queste vengono affidate perlopiù ai senatori, che siedono nell’aula successiva. Le dimensioni si ampliano, come anche il fasto nella decorazione: le cornici del soffitto si fanno bizzarre e complesse, tentacolari, con forme quasi organiche; le decorazioni parietali includono delle cariatidi dall’aspetto ambiguo e grottesco.
Due grandi orologi scandiscono le ore e - forse - il succedersi delle stagioni. L’austerità del luogo è solennizzata dalla grandiosa Deposizione del Tintoretto sulla parete di testa, doppio ritratto dogale e violenta scena di dolore perfettamente in linea coi princìpi della Controriforma. Vorticosa e dinamica sino all’eccesso è invece la tela centrale del soffitto, altra opera del Tintoretto, che declina a modo suo un’apoteosi di Venezia che incontreremo altre volte nel percorso.
La Sala del Senato è un altro scrigno di dipinti allegorici e commemorativi, oltre che di piccoli capolavori nascosti; inutile fermarsi al centro: il punto di vista privilegiato per capirla è un altro.
Sala dell’udienza del Consiglio dei Dieci
Venezia riceve doni da Giunone, Paolo Veronese
Da non perdere: Veronese, Venezia riceve doni da Giunone, Giove fulmina i vizi
Uscendo dalla Sala del Senato, occorre riattraversare la Sala delle quattro porte; nel farlo, guardate in alto a sinistra per trovare l’unico dipinto di Giambattista Tiepolo realizzato per Palazzo Ducale, quindi – superata un’anticamera – si giunge alla Sala dell’udienza del Consiglio dei Dieci.
Questo era l’organo supremo della giustizia veneziana, ultimo e inappellabile grado di giudizio. Sorto per contrastare le congiure nel periodo turbolento tra XIII e XIV secolo, il Consiglio dei Dieci nei secoli ha accresciuto enormemente i suoi poteri con la gestione dei servizi segreti e il dovere di trattare in maniera rapida ed emergenziale alcuni tra i più delicati problemi di politica estera, negli ultimi secoli della Repubblica.
La sala è dotata di un accesso nascosto alle carceri e alle sale della cancelleria attraverso la boiserie. Sul prezioso soffitto a cornici, troviamo uno dei più celebri dipinti del Veronese: Venezia che riceve doni da Giunone, e, al centro, la copia dell’unico dipinto di Palazzo Ducale a trovarsi ancora al Louvre in seguito alle ruberie del periodo napoleonico; si tratta ancora di uno splendido Veronese: una complessa allegoria a tratti non ancora inequivocabilmente interpretata.
Sala della bussola e armeria
Parte del traffico di personale attraverso gli stretti corridoi secondari che corrono dietro alle sale istituzionali veniva smistato da una bussola in una delle sale di pertinenza dei Dieci; tali corridoi sono visitabili con il tour “Itinerari segreti”, un tour prenotabile a parte e consigliabile solo dopo una visita al percorso istituzionale, se si intende capire un luogo complesso come Palazzo Ducale. Il percorso prosegue nelle sale dell’armeria, esposizione di trofei militari ma anche deposito di armi pronte all’uso in caso di problemi interni.
Tra vetrine di spade, scudi, lance, archibugi e busti dei principali uomini d’armi della Serenissima, si compie un percorso a ferro di cavallo che porta a scendere di un piano per spostarsi dall’ala rinascimentale a quella trecentesca del palazzo.
Liagò e Sala del Guariento
Guariento di Arpo, Incoronazione della Vergine, particolare
Da non perdere: Guariento, Incoronazione della Vergine
Scesa le Scala dei Censori, a sinistra si entra nella lunga manica detta liagò, corridoio solitamente inondato di luce che lega alcune piccole sale d’uso con la Sala del Maggior Consiglio. Prima di entrarvi, si raccomanda di soffermarsi per qualche minuto nella Sala dell’Armamento, detta del Guariento per via dell’opera d’arte che contiene: l’Incoronazione della Vergine di Guariento di Arpo, pittore giottesco attivo in pieno Trecento. Si tratta dell’enorme affresco che impreziosiva la parete di testa della Sala del Maggior Consiglio, prima che venisse coperto dal Paradiso di Tintoretto e bottega dopo l’incendio del 1577. Oggi ne rimangono dei frammenti sbiaditi ma ricchi di fascino, dai quali è possibile intravedere e immaginare la gloria della grande scena, realizzata con una tecnica poco consona all’aria umida e salsa come quella dell’affresco. Tratteniamolo nella memoria e ricordiamocene quando osserveremo il suo sostituto nella grande sala che segue.
Sala del Maggior Consiglio - Prima Parte
Da non perdere: Tintoretto & Co, Paradiso; D. Tintoretto, Ritratti dei dogi
Da guida, mi concedo un piccolo vezzo ogni volta che accompagno dei visitatori a Palazzo Ducale: mi fermo sullo stipite della porta d’ingresso della Sala del Maggior Consiglio per vedere i loro volti appena varcano la soglia e si rendono conto dell’ambiente; occhi sgranati, bocche spalancate, esclamazioni di stupore che a fatica si trattengono.
Semplicemente: non ce lo si aspetta. Immaginate mezzo campo da calcio coperto da un soffitto sontuoso e interamente rivestito di tele dipinte, per avere un’idea. Questa sala è la ragione principale per cui è stato edificato il Palazzo Ducale a metà Trecento: occorreva un ambiente sufficientemente grande per ospitare le sedute del principale consesso dell’aristocrazia veneziana, il Maggior Consiglio, appunto.
Qui si votavano le più alte cariche dello stato veneto, che erano rigorosamente elettive: qualsiasi cosa avesse anche solo il sentore di nepotismo o dinastia era tenuto a rigorosa distanza. Chi erano questi uomini? Perché stavano lì? Come votavano? Quale considerazione avevano di loro stessi? Tutte domande cui si trova risposta qui dentro.
La Sala del Maggior Consiglio - Seconda Parte; Le pareti e il soffitto
Jacopo Palma il Giovane, Venezia sottomette le province
Entrare senza una guida significa rimanere sopraffatti dalla quantità sovrabbondante di dipinti che copre ogni millimetro della sala. Questo risponde a quel senso di horror vacui comune del tardo Cinquecento, che si sposa alla perfezione con l’atavico gusto veneziano per lo sfarzo.
Sulla parete orientale, dove si trova la tribuna rialzata, uno dei dipinti su tela più grandi al mondo: il Paradiso di Jacopo Tintoretto e bottega, che va a rimpiazzare l’affresco del Guariento osservato nella saletta precedente.
Si tratta di una complessa allegoria, da osservare in collegamento con ciò che in questa sala avveniva, una volta abituato lo sguardo al turbinio degli oltre cinquecento personaggi che la affollano. Lungo le pareti si snodano i racconti pittorici di alcuni punti salienti della storia veneziana, raggruppati in cicli: la presa di Costantinopoli, le guerre di Chioggia, l’arrivo del Barbarossa a Venezia e molti altri episodi.
La qualità pittorica non è sempre elevata; quel che conta, è il messaggio propagandistico e dottrinale: un autentico culto dello stato. Diverso è il caso del soffitto, in cui sono i grandi nomi del tardo Cinquecento veneto a farla da padrone: da est a ovest le tre grandi tele centrali recano le firme di Veronese, Tintoretto e Palma il giovane, che si producono in solenni soggetti allegorici e non propriamente storici.
La Sala del Maggior Consiglio - Terza parte; I ritratti dei dogi
Una volta afferrato almeno il significato generale di quel che ci circonda, aguzziamo l’occhio e osserviamo il fregio perimetrale che corre tra il soffitto e le pareti; notiamo una lunga serie di ritratti molto simili fra loro. Si tratta dei primi 76 dogi; gli altri – in totale i dogi furono centoventi – si trovano nella sala successiva.
La serie inizia non dal primo ma dal nono doge, Beato Antenoreo – che nel IX secolo porta la sede del governo là dove sorge Palazzo Ducale – in corrispondenza della prima finestra della parete nord. Tutti i ritratti in questa sala sono opera paziente di Domenico Tintoretto, cui il padre affida questo lavoro di manovalanza pittorica; ciascun doge (sono accoppiati per motivi di spazio) regge un cartiglio svolazzante in cui è riassunta la sua carriera. Solo un caso fa eccezione: divertitevi a scovare il doge decapitato per aver tentato di allungare le mani sulla cosa pubblica (non sarà difficile) e fatevi raccontare la sua storia.
La Sala dello Scrutinio
Sala dello Scrutinio, soffitto
Da non perdere: Vicentino, Lepanto; Prepiani, ritratto di Ludovico Manin; Antonio Rizzo, Adamo, Eva, Armigero (Marte?)
È lecito sentirsi scoraggiati: ancora fasto, ancora una sala enorme, ancora un soffitto sontuoso e parete ricoperte di dipinti! Tranquilli: è l’ultima.
La Sala dello Scrutinio è un ambiente polivalente a Palazzo Ducale. Avete notato che non si parla mai di balli e banchetti? Nell’austero palazzo di governo, il fasto è destinato esclusivamente allo stato. Tuttavia, quando i ricevimenti sono a tutti gli effetti affari di stato – insediamento di doge e dogaressa, banchetto con un regnante straniero in visita, pizza di fine anno con le Scuole e simili – si tengono perlopiù in questa sala.
Non ci si perda il telero di Andrea Vicentino che commemora la battaglia di Lepanto – la vittoria di Pirro cristiana sull’Impero Ottomano nel 1571 – e il ritratto dell’ultimo doge, Ludovico Manin, che abdica la sua carica e dichiara decaduto il Maggior Consiglio, e con esso la Serenissima Repubblica, il 12 maggio 1797. Due storie da farsi raccontare almeno sinteticamente: eventi storici decisivi.
Dopo un lungo e meticoloso restauro, sono state esposte nella Sala dello Scrutinio le tre statue marmoree di Antonio Rizzo, originariamente collocate di fronte alla Scala dei giganti. Si tratta di tre opere del Quattrocento maturo, in un interessantissimo periodo in cui si inizia a ricercare l’armonia e la morbidezza anche nella scultura, di pari passo alle ricerche di Mantegna e dei Bellini in ambito pittorico.
Ponte dei Sospiri e Palazzo delle prigioni nuove
Il Ponte dei Sospiri nel 1870
Per molti è il momento più atteso: attraversare il ponte dei sospiri, l’angusto passaggio fortificato che conduce dal Palazzo Ducale al Palazzo delle prigioni nuove. Originariamente, quando viene costruito all’inizio del Seicento, non ha un nome; “Ponte dei Sospiri” gli viene assegnato nell’Ottocento – c’è chi ipotizza dallo stesso Lord Byron – in pieno revival romantico della storia veneziana e che ha portato a non pochi fraintendimenti e luoghi comuni che perdurano tutt’oggi.
Il piccolo ponte coperto, fortificato e diviso in due corsie porta al Palazzo delle prigioni nuove, da non confondere con i famigerati Piombi, che si trovavano nel sottotetto di Palazzo Ducale e che sono stati distrutti e ricostruiti a beneficio dei visitatori. Il Palazzo delle prigioni nuove è considerato il primo edificio a essere stato costruito appositamente per ospitarvi delle carceri, che solitamente si trovavano nel palazzo di governo, come avveniva anche a Palazzo Ducale con i Pozzi e i Piombi.
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