Dedalo e Icaro al Museo Correr
Il capolavoro giovanile di Antonio Canova
Antonio Canova, l’esordio: da Venezia a Roma, dal Barocco al Neoclassico.
Antonio Canova nacque nel 1757 a Possagno, ai piedi delle prealpi trevigiane, in una famiglia di qualificati scalpellini.
Fin da ragazzino istruitosi tecnicamente col nonno e presso le botteghe di valenti scultori tardo-barocchi tra Asolo e Venezia, entrò presto a contatto con gli esponenti più aggiornati ed influenti dell’ambiente veneziano, dove trovò il fondamentale indirizzo culturale classicista e le prime committenze.
Clamoroso il successo con il quale fu accolto il suo capolavoro giovanile Dedalo ed Icaro (1777-79) esposto ora al centro della splendida ‘Sala delle vedute’ del Museo Correr.
L’opera fu realizzata per il procuratore Pietro Vettor Pisani e destinata al suo Palazzo Pisani Moretta sul Canal Grande. Lo scultore appena ventenne, che in quel periodo aveva lo studio nella deliziosa 'Casa Rossa' di fronte al palazzo Venier dei Leoni (ora sede della Peggy Guggenheim Collection) attuò, con straordinaria genialità d’invenzione, un suggestivo contrapposto tra il canone classico (Icaro) e un particolare naturalismo pittorico settecentesco tutto veneziano.
La sapientissima composizione lega reciprocamente le due figure attorno ad un ‘vuoto’ centrale, chiuso circolarmente dal filo teso tra l’ala e la mano di Dedalo.
In una emozionata comunicazione sentimentale e drammatica il padre Dedalo, col dubbioso volto contratto, sta assicurando le ali, formate da penne tenute insieme con la cera, alle braccia del figlio giovinetto Icaro, che lo asseconda con tranquilla fiducia, pregustando la gioia del volo che lo farà fuggire dal labirinto e dalle minacce del Minotauro.
Il trattamento della superficie marmorea è pittoricamente vibrante, ancora lontano dalla levigata purezza poi tipica dello stile canoviano.
La scultura, presentata alla ‘Fiera della Sensa’ (Ascensione) del 1777 con grande successo popolare, fruttò al giovane Canova i 100 zecchini d’oro coi quali intraprendere il viaggio verso Roma; qui il decisivo impatto diretto con l’Antico e il consiglio e il sostegno di varie personalità ne determinarono la decisiva svolta classica e la veloce ascesa alla fama internazionale.
Sebbene adorato da Napoleone e considerato suo scultore ufficiale, il Canova era sempre stato critico nei confronti delle vergognose spoliazioni artistiche da lui perpetrate.
Quando dopo Lipsia (1813) l'astro dell'Imperatore volse al tramonto, lo scultore fu incaricato di recarsi a Parigi per recuperare tutte le opere d'arte razziate.
Suo pertanto il merito di aver riportato in Patria la gran parte di un inestimabile patrimonio, altrimenti disperso.
Grazie al suo eccezionale ruolo di intermediazione e all’intervento degli Austriaci anche i quattro cavalli della Basilica di san Marco, già trasferiti a Parigi sull'Arc du Carrousel, tornarono a Venezia.
Qui l'artista si spense, il 13 ottobre 1822, nella casa dell’amico caffettiere ‘Floriàn’ Antonio Francesconi presso il Bacino Orseolo, a pochi passi dall’odierno Museo Correr.
Canova godette in vita di una straordinaria e quasi mitica fama internazionale, che divenne dopo la sua morte – in Italia e particolarmente a Venezia – un vero e proprio ‘culto’.
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