I lazzaretti veneziani

Un Serenissimo Sistema Sanitario d'avanguardia

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I Lazzaretti veneziani

Le tre Isole per la ​'quarantena'.

Il termine ‘Lazzaretto’ pare sia derivato da ‘Nazaretum’, luogo in cui era stata eretta nel 1249 la Chiesa intitolata a Santa Maria di Nazareth, in un’isoletta della Laguna sud (attualmente conosciuta come 'Lazzaretto Vecchio') vicinissima al Lido di Venezia. 

Secondo altri deriverebbe invece da San Lazzaro dei mendicanti, il protettore dei malati di lebbra, da cui prende il nome l’isola (oggi San Lazzaro degli Armeni), in cui fin dal XII secolo la Repubblica aveva concentrato i lebbrosi.

Da allora ‘Lazzaretto’ identificò tutti gli ospedali in cui venivano isolati gli infetti.

Crocevia di rotte commerciali e protagonista di spedizioni militari come le Crociate, Venezia aveva presto dovuto fare i conti con le epidemie che venivano dall'Oriente.

Con l’intenzione di difendere la salute pubblica e su consiglio di San Bernardino da Siena, nel 1423, le autorità sanitarie della Serenissima decisero di isolare persone e merci contaminate.

Il Lazzaretto Vecchio, già ricovero per i pellegrini di Terrasanta, fu il primo sito scelto per questa funzione.

Ben presto però (1468) la superficie della piccola isola si rivelò insufficiente e nuove installazioni per la contumacia di merci e persone, sospette di contagio, furono costruite in un’altra isola: ‘Vigna Murada’ circondata da saline, vicino a Sant’Erasmo, che divenne così il ‘Lazzaretto Nuovo’.

Nel momento in cui fosse stata accertata l’infezione, i malati venivano trasferiti al Lazzaretto ‘Vecchio’ attrezzato per la degenza e cura.

Da queste procedure sanitarie è derivata la pratica ed il termine stesso di ‘quarantena’.

Le merci stoccate in appositi ‘tesoni’ (grandi edifici adibiti a magazzino), oltre a sostare per il tempo prescritto erano anche sottoposte a pratiche purificatrici, suggerite dalla medicina dell’epoca, come la ‘fumigazione’ con i vapori di sostanze balsamiche, ritenute disinfettanti.

Venute meno le necessità del loro antico utilizzo, le tre Isole ebbero destini diversi.

San Lazzaro degli Armeni: (già dei mendicanti) abbandonata nel XVI secolo fu concessa nel 1717 ai Padri Mechitaristi, esuli dell’Armenia, che la resero faro della cultura del loro travagliato popolo.

Nella ricca biblioteca sono conservati rari manoscritti armeni, arabi, indiani, egiziani ed oggetti preziosi, tra cui una mummia.

Fu tra le rare istituzioni religiose risparmiate da Napoleone e fu scelta da Lord Byron per il suo fecondo soggiorno veneziano.

Anche il Lazzaretto Vecchio fu abbandonato per molto tempo e recuperato nel 1846 fino al 1965 come postazione militare austriaca prima e italiana poi.

Il Lazzaretto Nuovo passata l’epoca delle pestilenze fu utilizzato come presidio militare nell’Ottocento ed è stato recentemente recuperato dall’Archeoclub, che oltre alle opere di restauro vi svolge un’intensa attività di ricerca e didattica.

In quest'isola, dopo l'ottimo restauro, si può visitare il cinquecentesco ‘Tezon Grande’ che, lungo più di cento metri è il più esteso edificio della Laguna, dopo le corderie dell’Arsenale.

Conserva alle pareti ancora molte scritte e disegni originali del personale addetto alla sua gestione: i bastazi (facchini), oltre a nomi di marinai e di dogi, sigilli e simboli.

 

In questi luoghi, nell'interesse del bene comune, erano temporaneamente sospese le garanzie della legge, pur in assenza di uno stato di guerra.

L'immagine del leone 'in moeca', privo di spada ma con il libro chiuso (rarissima nell'iconografia della Serenissima) è scolpita sulla vera da pozzo del Lazzaretto Nuovo e ben esprime simbolicamente il concetto: non si è in guerra (il Leone è disarmato) ma le libertà sono limitate, come quando in vigore la legge marziale. 

Ancora una volta Venezia si dimostrava all’avanguardia nell’organizzare soluzioni efficaci ad affrontare dei problemi cruciali per salvaguardare la salute dei suoi cittadini, assicurare la sua sopravvivenza e promuovere la sua prosperità.

 

Fonti: G. Piamonte 'Litorali ed isole' Filippi editore

         'L'isola del Lazzaretto Nuovo' a cura di G. Fazzini

         Wikipedia

 

 

 

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