Stefania Noce - quello che è Stato
Proiezione del film documentario di Bibi Bozzato
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Descrizione
Stefania Noce - quello che è Stato è un film documentario in forma di diario del regista Bibi Bozzato, che racconta la storia di Stefania Noce, vittima di femminicidio nel 2011 a Licodia Eubea (CT).
Girato tra la provincia di Catania e la provincia di Ragusa, è distribuito su tutto il territorio nazionale grazie ad associazioni e strutture (in prevalenza indipendenti, ma anche Istituzioni o Enti) interessate a diffondere e a proiettare la testimonianza diretta coinvolgendo cittadine e cittadini.
Un film per rendere partecipi il maggior numero possibile di persone, per far sì che si parli, si continui a parlare e non si dimentichino le vittime e i protagonisti del delitto. Che non si finisca per assolvere, che ci si interroghi sulle cause, che ci si chieda quali siano i punti in comune tra le tante storie, i nomi, la riconoscibilità.
Non un percorso di risposte, ma un invito a porsi dubbi.
Il committente del documentario è Ninni Noce, padre della vittima.
Alla proiezione sarà presente anche Serena Maiorana, autrice del libro su Stefania Quello che resta (ed. Villaggio Maori, 2013) e voce anche nel film.
Lei aveva solo 24 anni ma pensieri e riflessioni molto più mature. Studentessa di Lettere e Filosofia all'Università di Catania, con una forte e poliedrica personalità, un'intelligenza vivace ma soprattutto femminista attiva, appassionata di letteratura, attualità e politica. Non la si può dimenticare nella foto che la ritrae a capo del corteo del 13 Febbraio 2011 con il braccio alzato a tenere con fierezza il cartello “Non sono in vendita”. E nemmeno le sue parole che fanno gelare il sangue al pensiero che sia stata proprio lei a scriverle: «Malgrado i risultati ottenuti, ancora nel 2005, una donna violentata “avrà avuto le sue colpe”, “se l’è cercata” oppure non può appellarsi a nessun diritto perché legata da vincolo matrimoniale al suo carnefice. Inoltre, la società fa passare pubblicità sessiste o che incitano allo stupro; pornografie e immagini che banalizzano le violenze alle donne…» rivolgendole a «quelle donne che non hanno ancora smesso di lottare. Per chi crede che c’è ancora altro da cambiare, che le conquiste non siano ancora sufficienti, ma le dedico soprattutto a chi NON ci crede. A quelle che si sono arrese e a quelle convinte di potersi accontentare».
(Angelita Privitera, farefilm.it)
Il film ragiona poi molto anche sul termine femminicidio e viene raccontato il punto di vista di Ninni e di Serena Maiorana, che su Stefania ha scritto un libro, perché quel termine, così Ninni spiega, permette di annacquare e decontestualizzare le cose. Tutti vi si parano dietro, ma a lui sembra che perfino la morte di sua figlia sia stata un mezzo per alcun* per ricavare visibilità. Serena poi aggiunge cose, secondo me, molto interessanti perché la sua visione del problema è intera, compiuta. Analizza anche lei il quadro culturale e poi riflette sull’uso che il governo e le istituzioni hanno fatto del brand femminicidio. Buono per ritagliarci una legge che in realtà sdogana misure repressive contro attivismi, azioni di movimento, i notav, i nomuos, perché anche lei non vive il femminismo a compartimenti stagni. E’ questa decontestualizzazione, perciò la conseguente deresponsabilizzazione del contesto sociale che ha generato una cultura comunque responsabile di quel delitto, che nel film viene denunciata con grande chiarezza e personalmente io ringrazio Bibi Bozzato per averla messa a fuoco e non aver trascurato di parlare del delitto dando voce ad una analisi sociopolitica inaspettata e auspicata di questi tempi.
(laglasnost, abbattoimuri.wordpress.com)
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