Dal 03/04/2019 al 14/04/2019
Galleria ItinerArte

ASPETTANDO LA BIENNALE

“Trappole” di Bruno De Santi e “Codici segreti” di Virgilio Patarini

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Descrizione

ASPETTANDO LA BIENNALE

Due mostre personali per la chiusura della rassegna: “Trappole” di Bruno De Santi e “Codici segreti” di Virgilio Patarini

Si inaugura mercoledì 3 aprile 2019, alle ore 18, l’ultimo ciclo espositivo della rassegna “Aspettando la Biennale”: presso i due spazi contigui della Galleria ItinerArte di Venezia, in Rio Terà de la Carità – Dorsoduro 1046, proprio accanto alle Gallerie dell’Accademia, con due mostre personali simultanee che vedranno a confronto, nelle due diverse sale (Spazio Campiello e Spazio Rio Terà), la pittura di due protagonisti del panorama artistico milanese: Bruno De Santi e Virgilio Patarini (quest’ultimo direttore artistico della rassegna “Aspettando la Biennale”). La mostra di Patarini sarà presentata da Paola Caramel, quella di De Santi da Patarini stesso. Seguirà un piccolo rinfresco.

Le due esposizioni saranno poi visitabili fino al 14 aprile, dal lunedì al venerdì dalle 15 alle 19, sabato e domenica dalle 11 alle 13 e dalle 15 alle 19. Ingresso libero.

Come eventi collaterali nel corso delle due mostre si segnalano: venerdì 12 aprile, alle ore 19 un “fuori programma”, ovvero la presentazione in assoluta anteprima del nuovissimo libro di Ermanno Fugagnoli intitolato “Vacanze romane”, edito da Supernova, mentre sabato 13 aprile, sempre alle 19, un recital teatral-musicale dal titolo “Notturni”, che vedrà protagonisti al pianoforte il direttore d’orchestra e pianista Giovanni Battista Rigon e come voce narrante lo stesso Patarini, con testi di Saffo, Baudelaire, Novalis, D’Annunzio, Campana, Leopardi, e musiche di Bach, Chopin, Mozart, Beethoven, Debussy, Schubert, Poulenc.

Tutto a ingresso libero.

Qui di seguito una breve presentazione delle due mostre:

Virgilio Patarini, Codici segreti

L'approccio con la tela è istintivo, l'ispirazione primordiale ma appena quest'ultima comincia il dialogo con la psiche prima e con l'intelletto poi, avviene la metamorfosi. L'idea iniziale subisce numerose trasformazioni, i materiali vengono plasmati affinché l'analisi interiore si possa sviluppare in fase di esecuzione e continuare a evolversi fino all'estasi-termine dell'opera.

Il continuo interrogarsi dell'artista sulle forme, sul concetto di finito/non finito è caratteristica funzionale a trasmettere il messaggio al fruitore che, sia neofita, sia appassionato, si troverà a dialogare con il suo lavoro.

La visione artistica di Patarini è assai ampia, il connubio tra figurazione e astrazione evidente; dalle stratificazioni di materiali grezzi -come il cemento- posati a delineare scenari astratti, si affacciano delicati elementi figurativi a rappresentare l'elemento umano/urbano che l'artista non può evitare di tenere in considerazione. Ed è proprio per il sodalizio tecnica materica - aspetto spirituale che le opere arrivano sempre a confluire nel binomio (dicotomico? Si chiede l'artista) vita e arte. In entrambe si manifesta forte il desiderio salvifico dell'uomo che nonostante le stratificazioni, i toni scuri e la mancanza di riferimenti, cerca un appiglio per la risalita.

Non è accomodante il lavoro di Patarini, tantomeno confortante ma, essendo ciascuna delle sue opere d'arte, intrisa della sua stessa energia di vita, la volontà umana del cambiamento, seppur velata, seppur sofferta, spinge per emergere e insinuarsi tra le morbide linee dei paesaggi, regalate infine, dal gesto generoso e accogliente dell'artista.

L'uomo è null'altro che la somma delle esperienze positive e negative che sceglie di incollarsi addosso e tramite le quali troppo spesso si trasforma in cantastorie. (…) Patarini si cala in questo ruolo, mai troppo serio, mai troppo divertito ma sempre attento alle sfumature del quotidiano. Un quotidiano però nascosto dietro a parole non dette, a esistenze sfiorate per caso, in uno scenario che per quanto claustrofobico, non sembra più così lontano e a cui ci accomuna infine, un sentire inconsueto e impalpabile. (Paola Caramel)

Bruno De Santi, Trappole

Una decina di anni fa Bruno De Santi si è riallacciato ad una fase antica e primigenia della sua pluriennale ricerca pittorica, riprendendo con sfacciata non chalance un discorso lasciato in sospeso quarant’anni orsono. Come se Ulisse di ritorno ad Itaca dicesse a Penelope: “passata bene la giornata?” Segno che per un artista il trascorrere del tempo è un fatto del tutto opinabile, soggettivo, effimero.

Così, Bruno De Santi ha ripreso a costruire i suoi reticoli di linee, le sue campiture di colore à plat, tutte giocate su scarti e intervalli tonali: i dedali di stanze triangolari in cui scompone la superficie rettangolare o quadrata della tela esaltandone la bidimensionalità ed attribuendo all’azione pittorica compiti di spiccata, controllatissima razionalità. La stesura del colore è compatta, meticolosa, misurata, senza nulla concedere alla gestualità: simula la perfezione della macchina. Pur mediando da Mondrian l’approccio di assoluta astrazione, De Santi evita sistematicamente di allineare le sue composizioni sugli assi cartesiani, per privilegiare il gioco dinamico di diagonali, usando il triangolo (anziché il quadrato) come modulo compositivo, come unità di misura. Talvolta l’articolazione dei triangoli dà vita a strutture spiraliformi che ricordano labirinti, oppure rose, reticolati, piramidi sezionate, tagli di luce prodotti da un gioco incrociato di fari… ma non credo che ci sia mai nessuna vera intenzione di rappresentazione neppur vagamente icastica, realistica. Ciò che conta è l’equilibrio (o il disequilibrio) che deriva dal gioco sapiente di giustapposizioni o contrapposizioni di triangoli colorati, spesso dipinti tono su tono: il modo in cui tale gioco cattura l’attenzione, intrappola lo sguardo del fruitore. Poco importa se si tratta di un gioco apparentemente semplice, elementare, fatto di poco o di niente, solo linee e colore piatto… (Ma davvero è così semplice? O si tratta piuttosto di quella “difficilissima facilità” di cui parlava l’Ariosto, così ardua da conquistare?). Quello che conta è che il meccanismo scatti, affinché una parte dell’anima del fruitore possa rimanere impigliata in queste trappole di colore, in questi labirinti astratti, mentali, come sospesa fuori dal tempo, partecipe di una dimensione astrale, ideale, eterna, che sarebbe piaciuta a Platone. Amen. (Virgilio Patarini)

Zamenhof Art
email: galleria.zamenhof@gmail.com
sito: www.zamenhofart.it

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