Il giardino dei ciliegi
Teatro Piccolo Arsenale
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Description
Biennale Teatro di Venezia | Teatro Piccolo Arsenale
3 agosto 2019 - ore 21.30
Il giardino dei ciliegi
Alessandro Serra reinventa un grande classico del teatro e debutta in prima assoluta alla Biennale
Lo spettacolo coprodotto dal Teatro Stabile del Veneto sarà in scena al Verdi di Padova dal 25 al 29 marzo 2020 per la Stagione Stellare
Dopo il successo dello spettacolo Macbettu che lo ha lanciato sulla scena internazionale, Alessandro Serra, regista dal tratto visionario noto per la sua capacità di curare personalmente ogni singolo aspetto della scrittura scenica, dalle luci alle musiche, dalle scene ai costumi, torna a cimentarsi con l’opera di un grande autore in una coproduzione del Teatro Stabile del Veneto: Il giardino dei ciliegi di Čechov, che sabato 3 agosto debutterà in prima assoluta sul palco del Teatro Piccolo Arsenale per la Biennale Teatro.
Lo spettacolo prodotto da Sardegna Teatro con Accademia Perduta Romagna Teatri, Stabile del Veneto, Teatro Piemonte Europa e Printemps des Comediéns di Montpellier è, infatti, tra le Drammaturgie scelte per il programma di questa 47 ^ edizione del festival internazionale del teatro e dal 25 al 29 marzo 2020 tornerà nuovamente in Veneto per animare la scena del Teatro Verdi di Padova.
Lo spettacolo
L’ultima scrittura di scena di Alessandro Serra parte da Il giardino dei ciliegi di Čechov per dare nuova vita a un’opera poetica e spietata in cui si rivela la fragilità dell’animo umano attraverso una storia semplice e apparentemente innocua ma che sembra presagire gli orrori del ‘900. Il testo si muove con il ritmo di un valzerino allegro la cui partitura è iscritta nelle singole azioni e nel suono delle parole. La trama è incentrata sul ritorno da Parigi di una vecchia famiglia aristocratica andata in bancarotta, la cui matriarca ha dissipato tutto il patrimonio. L’opera si apre e si chiude in quella che è chiamata stanza dei bambini, i bambini di un tempo che ora tornano a casa dopo aver dissipato la loro vita. Tuttavia il sentimento che attraversa l’opera non ha a che fare con la nostalgia o il rimpianto, ma stringendo un legame indissolubile con l’infanzia chiama in causa il bambino che ciascuno è stato. La vendita del giardino, che incombe come una scure sui protagonisti, provoca in loro un senso di dolore sconosciuto e nascosto. Nel testo non vi è alcun tono elegiaco, non c’è trama, non accade nulla, perché tutto è nei personaggi: una partitura per anime in cui i dialoghi sono monologhi interiori che si intrecciano e si attraversano.
Alessandro Serra
Alessandro Serra si avvicina giovanissimo al teatro attraverso gli esercizi di trascrizione per la scena delle opere cinematografiche di Ingmar Bergman. Studia come attore avvicinandosi alle azioni fisiche e ai canti vibratori di Grotowski, per poi arrivare alle leggi oggettive del movimento di scena trascritte da Mejercho’ld e Decroux. Nel frattempo si laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo all’Università la Sapienza di Roma con una tesi sulla drammaturgia dell’immagine.
Nel 1999 fonda la Compagnia Teatropersona, con la quale comincia a mettere in scena i propri spettacoli che scrive e dirige, creandone le scene, i costumi e le luci. Tra il 2006 e il 2011 il lavoro di ricerca sulla scena come puro fatto materico si concretizza in una “trilogia del silenzio” con Beckett Box, Trattato dei Manichini (Premio ETI Nuove Creatività e Premio di scrittura di scena Lia Lapini) e AURE, in cui la drammaturgia è praticata quale vero e proprio espianto di aure dalle opere letterarie di Samuel Beckett, Bruno Schulz e Marcel Proust. Nel 2009 crea la sua prima opera per l'infanzia, Il Principe Mezzanotte, finalista Premio Scenari e presentato in oltre duecento repliche in Italia e all'estero. Nel 2015 la sua ricerca teatrale si accosta al linguaggio della danza e con il sostegno della fondazione Giacometti di Stampa (CH) crea L’ombra della sera, dedicato alla vita e alle opere di Alberto Giacometti. Nello stesso anno, in collaborazione con gli attori della compagnia Accademia Arte della diversità di Bolzano crea H+G, premio EOLO 2015.
Nel 2017, con lo spettacolo Macbettu, vince il Premio UBU per il "miglior spettacolo dell'anno".
I suoi spettacoli sono stati presentati in Italia, Francia, Svizzera, Corea del sud, Russia, Spagna, Bulgaria, Polonia, Germania, Brasile, Colombia, Argentina, Bosnia Erzegovina, Croazia, Romania, Turchia, Georgia, Finlandia.
IL GIARDINO DEI CILIEGI
Di Anton Čechov, Regia Alessandro Serra
Con Arianna Aloi, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Marta Cortellazzo Wiel, Massimiliano Donato, Chiara Michelini, Felice Montervino, Fabio Monti, Massimiliano Poli, Valentina Sperlì, Bruno Stori, Petra Valentini
Drammaturgia, scene, suoni, luci, costumi Alessandro Serra
Consulenza linguistica Valeria Bonazza e Donata Feroldi
Realizzazione Scene Laboratorio Scenotecnico Pesaro
Produzione Sardegna Teatro, Accademia Perduta Romagna Teatri, Teatro Stabile del Veneto, TPE - Teatro Piemonte Europa, Printemps des Comediéns (Montpellier)
in collaborazione con Compagnia Teatropersona, Triennale Teatro dell'Arte di Milano
Note di regia
Il giardino dei ciliegi si apre e si chiude in una stanza speciale, ancora oggi chiamata stanza dei bambini. Tra poco arriveranno i padroni, hanno viaggiato molto, vissuto e dissipato la loro vita. Bambini invecchiati che tornano a casa. Tuttavia il sentimento che pervade l’opera non ha a che fare con la nostalgia o i rimpianti ma con qualcosa di indissolubilmente legato all’infanzia, come certi organi misteriosi che possiedono i bambini e che si atrofizzano in età adulta.
L’incombere della scure sul giardino provoca un senso di dolore sconosciuto, un risvegliarsi di quegli organi non ancora del tutto spenti nella loro funzione vitale. Un dolore che non ha nome e che solo guardando negli occhi il bambino che siamo stati potrà placarsi. Non c’è trama, non accade nulla, tutto è nei personaggi. Una partitura per anime in cui i dialoghi sono monologhi interiori che si intrecciano e si attraversano. Un unico respiro, un’unica voce.
Non vi è alcun tono elegiaco, è vita vera distillata: si dice, si agisce.
Un valzerino allegro in una commedia intessuta di morte. Comicità garbata, mai esibita, perfetto contrappunto in un’opera spietata e poetica. I personaggi ridono e si commuovono spesso, il che non significa che si debba piangere davvero, è piuttosto uno stato d’animo, scrive Čechov in una lettera, che deve trasformarsi subito dopo in allegria.
Velando di lacrime gli occhi dei suoi personaggi Čechov suggerisce la visione sfocata della realtà sensibile, una realtà spogliata dai contorni. Come i vetri delle vecchie case, opachi, deformi, pieni di impurità fornivano una versione estetica della vita oltre la finestra, così le lacrime agli occhi erodono le forme: gli oggetti e le persone sfumano l’uno nell’altro, i colori si sfaldano in mezzetinte, i lineamenti e le voci si disciolgono. Tanto che a un certo punto non si sa più chi è che parla, se una voce proveniente da un’altra stanza o noi stessi con le parole di un altro.
La scrittura stessa agevola questo dissolversi del centro e del focus: l’opera è cosparsa di piccoli impedimenti e fraintendimenti, anche linguistici, rotture sintattiche, pianti, canti, apnee, russamenti, borbottii e filastrocche, e poi i suoni. Tutto concorre a una partitura musicale che, scrive Mejerchol’d, è come una sinfonia di Čajkovskij.
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